ARTICOLI E RECENSIONI

data: 18 Gennaio 2019

da: ilcriticomaccheronico.it

di Antonio Fiore

Flavioh, così Zinna racconta Bucci

Lo ha voluto, lo ha diretto, lo ha prodotto, ne ha curato la fotografia e scritto (e suonato) le (straordinarie) musiche. Il documentario si chiama Flavioh e ha per sottotitolo “Tributo a Flavio Bucci”, ma questa sera alle 20,30 all’Academy Astra, dove verrà proiettato, si trasformerà necessariamente in un commosso tributo anche al suo autore: Riccardo Zinna, l’attore e regista napoletano prematuramente scomparso nello scorso settembre.
Ho scritto “documentario” (e lo stesso Bucci lo definisce “un documentario sulla mia sporca vita”), ma Flavioh è molto di più: è un road-movie dell’anima nel quale un grande attore accompagna un attore ancora più grande di lui attraverso le stazioni della sua vita pubblica e privata (Roma-Torino-Amsterdam), rivivendone i successi e le rovinose cadute nell’alcol e nella droga, risvegliando in lui passioni e ossessioni mai in realtà sopite, rabbie, paure, ricordi e abbandoni. Ed è anche il confronto tra due figure atipiche della scena culturale italiana: Zinna, attore-intellettuale che ha legato la sua immagine al meglio del teatro e del cinema nostrani (da Carpentieri a Martone, da De Lillo a Moretti, da Salvatores a Garrone è lunghissima la lista degli autori che dagli anni ’90 in poi lo hanno avuto al fianco) ma senza mai cedere alle lusinghe del facile successo, e Bucci, uno dei volti più intensi della scena cinematografica e teatrale italiana, diventato famoso con il televisivo Ligabue ma restando sempre una voce fuori dal coro, un non riconciliato che ha bruciato la carriera (e rischiato di bruciare la vita stessa), vittima e carnefice della propria arte. E dei propri fantasmi, come il pazzo gogoliano da lui portato in scena, o come il suo marxista-mandrakista de La proprietà non è più un furto di Petri. A questa figura oggi dolente e tragica ma ancora piena di amara autoironia (al commensale che canta le lodi del peperoncino: “Capirai… io ho tirato cinque grammi di coca al giorno, c’ho pure il problema di liberare le narici?”; e a John Travolta, da lui mirabilmente doppiato ne La febbre del sabato sera e a cui lo avevano dunque presentato come “la sua voce italiana”, Bucci replicò “ditegli che lui è la mia faccia americana”) Zinna si è avvicinato con la spietata dolcezza, l’ammirazione e la leggerezza di cui solo i grandi sono capaci: intervistando familiari, colleghi, registi che con Bucci hanno lavorato (particolarmente toccanti le parole di Giuliano Montaldo che lo diresse ne L’Agnese va a morire: “Soprattutto un ragazzo, e mai un fanatico”, o quelle di Armando Pugliese: “Con Flavio sono incazzato nero perché un interprete geniale come lui ha lasciato il campo a tanti mediocri che non valgono nulla”) o suonando la sua tromba in un lancinante commento jazz di assoluto valore musicale, ma soprattutto braccando l’istrione ferito Bucci fino a scavarne l’essenza tragica, fino a carpirne il dramma, la solitudine, l’angoscia celata dietro la risata fragorosa.
Non so neppure se Riccardo, già gravemente malato, abbia mai potuto vedere integralmente il suo film. Io, che invece l’ho visto, avrei voluto dirgli che è bellissimo.

data: 25 ottobre 2018
da: ondacinema.it

di Carlo Cerofolini

13 Festa del Cinema di Roma: Tributo a Flavio Bucci

Nella carriera di un attore ci sono personaggi che funzionano come un’arma a doppio taglio, perché se da un lato l’eccezionalità dell’interpretazione consente all’interessato di lasciare un ricordo indelebile nell’immaginario dello spettatore, dall’altro la persistenza del riferimento finisce per fagocitane il talento, al punto da non permettergli altra scelta che non sia quella di reiterare il modello o scomparire. In questo senso, il caso di Flavio Bucci è paradigmatico, poiché a fronte di un talento artistico che lo ha visto primeggiare nel cinema e nel teatro, non c’è dubbio che a farcelo ricordare sia soprattutto il ruolo del pittore Antonio Ligabue nell’omonimo sceneggiato televisivo diretto da Salvatore Nocita. Così, pur immaginando quali e quante siano state le ragioni che hanno spinto Riccardo Zinna a dedicare il suo progetto all’attore piemontese, facendone non solo il centro d’interesse del film ma riuscendo a riportarlo dopo anni di assenza davanti alla mdp assegnandogli la parte di sé stesso e quello di guida spirituale della narrazione, certo è che “FLAVIOH – Tributo a Flavio Bucci”, seppur in linea con il carattere del personaggio e quindi poco incline a una ricostruzione filologica e istituzionale della biografia artistica del protagonista, ben si presta – per la sua forma documentaria – a una rivalutazione critica del nostro atta a testimoniarne la poliedrica genialità sulla base di trascorsi che lo hanno visto giovanissimo partecipare ad alcuni dei film italiani più importanti dello scorso secolo: da “La classe operaia va in paradiso”, in cui condivise il set con Gian Maria Volontè, mentore che ne favorì l’ascesa nel cinema più impegnato e militante di quegli anni, a “La proprietà non è più un furto”, diretto, come il primo, dal grande Elio Petri, ai lavori con Montaldo sullo schermo e in televisione, anch’essa frequentata con profitto. Senza dimenticare le sue qualità di doppiatore, prestando la voce a star del calibro di John Travolta, Gérard Depardieu e Sylvester Stallone, e di produttore (“Ecce bombo” di Nanni Moretti).

I meriti del film, però, non finiscono qui, poiché “Flavioh” oltre a riportare alla memoria fatti dimenticati ma comunque conosciuti, arriva a fare quello a cui molti biopic non riescono nemmeno ad avvicinarsi e cioè a ricostruire – portandoli sullo schermo con l’aiuto del protagonista – i lati oscuri e le contraddizioni di una personalità genuina ma complessa, costretta a convivere con i fantasmi di un estro che, come spesso capita ai grandi, è fonte di gioie nel lavoro e di dolore nel privato. Da questo punto di vista Zinna non risparmia niente al suo personaggio, raccontandone pregi e difetti con una partecipazione che travalica il rapporto tra regista e attore e sconfina in una complicità fatta di risate e malinconia, il tutto all’insegna di un “umano troppo umano” ben sintetizzato dalla sequenza d’apertura, in cui un Bucci a dir poco contrariato rischia di mandare tutto all’aria (il film e il suo regista), facendo fuochi e fulmini contro chi non si è curato di assicurargli il giusto relax tra un ciak e l’altro.
Con stile franco e colloquiale Zinna (prematuramente scomparso lo scorso settembre) non si limita a riproporre il documentario più classico, quello in cui il protagonista e gli altri interlocutori parlano di sé e degli altri rivolgendosi direttamente alla telecamera, ma, in conformità al personaggio, ne rappresenta l’irrequietezza costringendo a un viaggio itinerante in cui le diverse tappe del tragitto – a Torino, dove tutto è iniziato, a Roma in cui abitano la madre e il fratello, e anche all’estero per salutare il figlio e la compagna – offrono l’occasione per mettere insieme un amarcord pubblico e privato in cui chi lo ha conosciuto da vicino contribuisce a farsi un’idea di chi è stato e di chi è oggi Flavio Bucci, omaggiato alla sua maniera da Zinna che, senza nasconderne le complicazioni di salute, lo riprende claudicante e affaticato come un Re Lear in esilio dal suo regno. Favorito dal passo simile a quello di un diario di viaggio (regista attori e troupe si spostano da un punto all’altro a bordo di un camper molto vintage), “Flavioh” più che un documentario è un blues on the road destinato a diventare un luogo dell’anima. Quella di Bucci, nonostante le molte vicissitudini, ancora pronta a dare battaglia a chi, ancora oggi, ne vorrebbe fare un attore come gli altri. Zinna che del film è anche sceneggiatore, direttore della fotografia e musicista dimostra di essere cineasta a tutto campo. Ci mancherà!

data: 12 Gennaio 2019
da: Il Manifesto – Alias

di Alberto Castellano

Riccardo Zinna, il verso di Flavioh

Biopic. Il film realizzato dal regista e musicista recentemente scomparso sarà presentato a Napoli il 18 gennaio

Non ha avuto il tempo di assistere alla presentazione in anteprima alla Festa del cinema di Roma della sua opera prima Flavioh Riccardo Zinna. Il poliedrico artista napoletano (attore, regista, compositore, chitarrista, trombettista e pittore) è infatti prematuramente scomparso a soli 60 anni esattamente un mese prima. Nonostante fosse malato da tempo, Riccardo ha profuso fino alla fine tutte le sue energie per un film al quale teneva molto anche perché si tratta del suo esordio da regista dopo aver recitato per anni in tanto cinema e teatro. Forse non è un caso che per la sua prima volta dietro la macchina da presa, ha scelto di rendere omaggio in forma di documentario al grande Flavio Bucci, un artista e un uomo spigoloso, caparbio, generoso e coerente un po’ come lui. Dopo l’anteprima romana, il film sarà proiettato per la prima volta il 18 gennaio a Napoli, la città dove è nato e viveva Riccardo, al Cinema Astra nel cuore dell’Università nell’ambito di “AstraDoc – Viaggio nel Cinema del Reale”, rassegna di cinema documentario organizzata da Arci Movie alla presenza di Flavio Bucci e del produttore Marco Caldoro.
Flavioh è un viaggio attraverso strade, stanze, suoni, mondi, corpi, amori, iniziato quando Riccardo, nel 2015, incontra Flavio Bucci mentre quest’ultimo cura la regia di “Diario di un pazzo” e vede qualcosa di molto interessante, da raccontare sull’artista, ma anche sull’uomo, sulla sua vita, pubblica e privata. Questo incontro con un attore straordinario ed obliato, lo affascina e lo spinge a decidere di fare qualcosa: “Quando ho capito che molti giovani ventenni, trentenni ma anche molti quarantenni non conoscevano Flavio Bucci ho pensato che dovevo realizzare un documentario, un tributo, dovevo in qualche modo riuscire a raccontare la parabola dell’uomo e dell’artista Flavio Bucci”.
La formula del viaggio in camper viene scelta dal regista pensando che non solo portare Flavio nei luoghi della sua vita avrebbe stimolato i suoi ricordi ma che l’ambiente privato ed accogliente del camper avrebbe aiutato entrambi a creare una atmosfera più intima e tranquilla per aprirsi e conoscersi. Assieme a Marco, ad un operatore ed un fonico, Bucci è stato seguito sul set materano del film “Il Vangelo secondo Mattei”. In quella occasione, luogo naturale di azione di Flavio, Riccardo ha avuto modo di seguirlo da vicino, per un mese intero, cercando di raccogliere quanto più materiale possibile, nelle pause o alla fine delle giornate di riprese, quando Flavio era più disponibile. In queste occasioni, ha raccolto pensieri, spunti, confessioni e dopo Matera, la troupe ha accompagnato Flavio nei luoghi della sua infanzia a Torino, la sua casa natale, presso gli zii a cui era più legato, il Cinema Maffei dove ha avuto origine la sua passione per il teatro; a Gualtieri, location del suo famoso Ligabue e luogo dove Flavio, ancora oggi, a distanza di 40 anni, è trattato come un re e salutato da tutti, per arrivare fino ad Amsterdam dalla sua famiglia olandese. Poi è stato riaccompagnato a Roma dove vivono sua madre e suo fratello. Le riprese del documentario si sono concluse nel 2016 con le ultime interviste ad amici, colleghi e familiari. Il grande attore ed il regista creano una alchimia nuova in un affastellarsi di ricordi, intimità, immagini, musica, versi, fragilità, vigore. Il titolo scelto da Riccardo non è casuale, quella H aggiunta al nome del protagonista sta a simboleggiare il suo sguardo, la sua mano nel descrivere questo artista. La “H” è una lettera muta che non disturba, non si sente, non stona ma accompagna. Proprio come lui ha accompagnato Flavio e tutti quelli che ha intervistato. Anche la poesia finale Occhioni Belli è stata scritta per Flavio. È un omaggio che in versi racconta la sua vita ma soprattutto sottolinea quello che a Riccardo più ha colpito di Bucci ossia “un uomo che ha vissuto la sua storia da battitore libero, vincendo, perdendo, sbagliando ma mai barando con gli altri e soprattutto con se stesso”.

data: 21 ottobre 2018
da: cinematografo.it

di Costanza Morabito

Flavioh

Il doc postumo di Riccardo Zinna: per celebrare sì (il vivo ma assente) Flavio Bucci ma anche per riflettere sul cinema e sulla vita. Nella sezione Omaggi del RomaFF13
Fa una strana impressione che Flavioh, il documentario diretto da Riccardo Zinna dedicato a Flavio Bucci, interprete di talento del cinema italiano, sia stato proiettato alla Festa del Cinema di Roma con Bucci vivo e vegeto – quando, come commenta nel film Armando Pugliese, parlare in termini celebrativi e conclusivi “di uno che è ancora in vita e che non è neanche vecchio… ti fa venire i nervi, pare che si stia parlando di un morto” – mentre Zinna per un soffio non ha potuto presentare il suo lavoro.
E il senso di una perdita che non è però una sconfitta permea tutto il documentario. Di Bucci si parla in termini di assenza, di passato, eppure è vivo e vegeto (a fronte di decenni di eccessi e dipendenze) e spezzoni di film testimoniano la sua incontrovertibile presenza storica in termini attoriali e di impegno civile.
Mentre di Zinna, che da esattamente un mese non c’è più, vediamo un lavoro vivo e sincero, che celebra sì la persona di Flavio Bucci ma che si configura anche come una riflessione sullo stato del cinema e sulla vita, sulle responsabilità di chi nel cinema ci lavora, che sia attore, regista o produttore.
Flavioh è un documentario on the road: a bordo di un camper la troupe accompagna Flavio Bucci da Torino ad Amsterdam, passando per i luoghi della sua giovinezza, ma soprattutto a incontrare persone importanti della sua vita, familiari e colleghi.
Da Giuliano Montaldo a Claudio Mancini, un commosso Alessandro Haber e Michele Placido, i ricordi degli amici e colleghi interpellati sono agrodolci, affettuosi e strabordanti di stima, eppure il risultato non è quello di incensarlo perché sullo schermo è evidente la presenza ingombrante e dissacrante di Bucci, con la sua ironia in primo luogo verso se stesso. Un attore che non è mai stato divo, “giammai borioso, perché la vanagloria è il nutrimento dei privi di talento”.
Quello di Zinna è un documentario raffinato nella scelta del girato (che oltretutto partendo da più di 200 ore si limita alla piacevole durata di un’ora e venti) e nello sguardo spontaneo e acuto, erratico nella sua ricerca sincera di pezzi di realtà e di passato.
In sottofondo la colonna sonora composta dallo stesso Zinna, melanconica e potente, ben si presta ad accompagnare questo viaggio presente nel passato. Flavioh offre una testimonianza che non pretende di ergersi a indagine di un’anima che ha ceduto alle brutture della vita ma che ha anche avuto il desiderio e il tempo di lavorare per quello che riteneva importante.
“Vengo da un cinema impegnato a livello civile e democratico. Adesso quello che vedo è soltanto il raccontare una storia più o meno fattibile, opinabile, senza grandi tematiche”, dichiara Bucci nel corso del film. “Anni fa era diverso, ti sentivi parte del mondo, della tua civiltà, del mondo attivo, di quello politico di quello sociale, pensavi di contare qualcosa”.
Le droghe e l’alcool non sono sensazionalisticamente piazzate in primo piano, se ne parla apertamente solo a metà del film, con l’“elefante nella stanza” si interloquisce con garbo e quindi non è l’eccesso ad essere sottolineato (è solo il figlio Alessandro a poterlo paragonare a Mick Jagger), perché Bucci è raccontato soprattutto come un attore che non si è mai legato al carrozzone e ha sempre sostenuto i propri valori, un uomo che ha vissuto la vita in modo estremo, senza mai negare i propri errori e senza compromessi.
“Il mio viaggio l’ho compiuto al massimo di quello che volevo ottenere dalla mia esistenza umana. Quello che hai di fronte è un uomo realizzato, con tutte le mie colpe”.

data: 21 Ottobre 2018
da: primonumero.it

di Federico Pommier Vincelli

Ascese e cadute di un attore straordinario. Successo alla Festa del cinema di Roma per il film su Flavio Bucci

Intenso, commovente, divertente. Molto di più di un documentario biografico Flavio H, il film su Flavio Bucci di Riccardo Zinna, ha convinto il pubblico della Festa del cinema di Roma che sabato sera l’ha visto in anteprima al museo Maxxi. Perché non è solo la ricostruzione di una grande carriera artistica, che ha regalato prove attoriali eccelse e multiformi nel cinema e nel teatro italiano, ma un viaggio delicato, ironico e poetico sulle ascese e le cadute di un uomo.
A bordo di un camper in giro per l’Italia e per l’ Europa, Zinna, che purtroppo non ha visto nascere la sua opera essendo scomparso appena un mese fa, ha accompagnato Bucci in un itinerario fisico ed esistenziale in cui scorrono ricordi, incontri, ferite e legami familiari riconquistati anche solo per un attimo. Ne viene fuori il ritratto potente e fragile allo stesso tempo di un attore totale, che riempie perennemente la scena con viso scavato, voce profonda e battute scorrette. Anche se appesantito dagli anni e da una vita di eccessi, Bucci, oggi 71enne, è ancora un grandissimo attore che questa volta interpreta se stesso con assoluta trasparenza e libertà. E riscopre i momenti fondamentali della sua esistenza: la casa di nascita nella Torino popolare, figlio di una famiglia di emigranti molisani (MoliseCinema gli ha dedicato una retrospettiva e Casacalenda gli ha dato la cittadinanza onoraria), il teatro di quartiere dove ha capito la sua vocazione, le campagne emiliane in cui fu girato Ligabue, lo sceneggiato televisivo che lo ha reso celebre, il ricordo di Gian Maria Volonté, suo ispiratore che lo presentò a Elio Petri, o l’incontro con Claudio Mancini, produttore di un cinema che non esiste più. E poi le tappe più personali, come la lontana Amsterdam dove ritrova il terzo figlio, o la Roma in cui vive il fratello e l’anziana madre che lo tratta ancora da ragazzo preparandogli la valigia e salutandolo con un “fai il bravo”.
La bellissima colonna sonora, composta dallo stesso Zinna, accompagna il viaggio con dolcezza, insieme a spezzoni di film (tra le interpretazioni memorabili “La classe operaia va in paradiso”, “La proprietà non è più un furto”, “L’Agnese va a morire”, “Il marchese del Grillo”) letture e brani teatrali. Ci sono anche le testimonianze di amici e colleghi che gli rendono omaggio (Michele Placido, Giuliano Montaldo, Alessandro Haber), ma i momenti più emozionanti sono quelli intimi, dove si alternano ilarità e malinconia, confessione e istrionismo.
Il protagonista assoluto è sempre lui, anche quando si mostrano senza moralismo i fantasmi che gli hanno complicato la vita: la cocaina, l’alcool, il rapporto difficile con compagne e figli. Nonostante una tendenza all’autodistruzione, Bucci ha però una tempra forte e continua a mostrare dignità, esuberanza, irriverenza e, in fondo, gioia di vivere. E ce lo fa capire interrompendo la standing ovation che il pubblico gli dedica alla fine della proiezione: “Non sono ancora morto!”.
Il docufilm è prodotto insieme a Marco Caldoro e ha il sostegno dell’Assessorato alla cultura della Regione Molise e del Piemonte Doc Film Fund. Speriamo che ora possa essere visto ampiamente dal pubblico e dagli addetti ai lavori e magari concorrere per premi importanti come il David di Donatello. Sarebbe il giusto riconoscimento per la grandezza di Flavio Bucci e anche per il talento cinematografico, che abbiamo conosciuto troppo poco, di Riccardo Zinna.

data: 20 Ottobre 2018
da: Cinecittà news

di Carmen Diotaiuti

Flavio Bucci: “Sai che noia il Paradiso”

“Il nostro mestiere dà la possibilità di scandagliare dentro l’animo umano, a volte magari anche commettendo errori. L’attore per sua stessa qualifica è colui che non solo cerca di interpretate ma anche di trasmettere attraverso il suo lavoro una propria ideologia, giusta o sbagliata che sia”, sottolinea Flavio Bucci, grande interprete teatrale a cui la Festa di Roma dedica oggi un omaggio attraverso il documentario Flavioh – Tributo a Flavio Bucci di Riccardo Zinna. “Di fondo c’è sempre da imparare, anche alla mia età, e questo fa parte dell’esistenza. Come diceva il grande de Filippo: gli esami non finiscono mai”.
Un tributo a un uomo spigoloso, caparbio e coerente, lo aveva definito Riccardo Zinna, regista e attore scomparso lo scorso settembre, che probabilmente con questo lavoro ha voluto anche lasciare una più ampia riflessione, dal sapore biografico, sull’essere artista. Del progetto che lo aveva impegnato per gli ultimi tre anni aveva spiegato di averne sentito l’esigenza dopo aver capito che molti giovani ventenni, trentenni ma anche molti quarantenni non conoscevano Flavio Bucci, uno dei più grandi interpreti teatrali, “con un volto antico come scolpito per riprodurre nel contempo tragedia e commedia, e una voce calda potentissima e nitida, in grado, persino con un sussurro, di centrare qualsiasi angolo di un teatro”, l’aveva definito. “Dovevo in qualche modo riuscire a raccontare la parabola dell’uomo e dell’artista Flavio Bucci, un uomo che ha vissuto la sua storia da battitore libero, vincendo, perdendo, sbagliando ma mai barando con gli altri e soprattutto con se stesso”.
Proprio di parabola sembra parlare il quotidiano del grande attore torinese, oggi 71enne, che vive in solitudine e senza denaro in una casa famiglia sul litorale laziale, dopo aver avuto due ex mogli, tre figli e guadagnato milioni a serata. “Ho speso tutto in vodka e cocaina – ha dichiarato in una recente intervista al Corriere della Sera – La vita è una ed è tua, puoi farci quello che vuoi. Non mi sento colpevole verso nessuno, non ho rimpianti oppure se preferisce posso anche dirle che ne ho, tanto non potrei cambiare niente. La verità è che tutti ti pretendono a loro immagine e somiglianza, però io sono come sono. Non mi voglio assolvere da solo e non voglio nemmeno andare in Paradiso, che poi sai che noia lassù”.

da: cinemaitaliano.info
data: 20 Ottobre 2018

di: Miriam Monteleone

FESTA DI ROMA 13 – “FLAVIOH”, l’insuperabile Flavio Bucci
Riccardo Zinna racconta la vita di uno dei più grandi attori contemporanei italiani.

È una fotografia autentica – senza filtri – come si direbbe oggi, quella che emerge dal documentario tributo a Flavio Bucci, interprete e doppiatore tra i più acclamati del teatro e cinema italiano. Un lungometraggio ben fatto, firmato da Riccardo Zinna e prodotto dallo stesso con Marco Caldoro che svela il personaggio tra irruenza e tenerezza. Un brutto carattere, un temperamento incontenibile, una simpatia da vendere, vizi tanti, troppi e una vita nel bene e nel male straordinaria. La testimonianza di Bucci stesso, a bordo del camper che lo porta in giro per l’Europa durante le riprese; dei suoi tre figli; delle sue mogli e compagne; di registi e attori e pure della mamma novantenne, non lo risparmiano né lo salvano dalla sua indole e lui è il primo a non farlo, senza mea culpa, senza rimpianti, senza ipocrisia.

“Il mio viaggio l’ho compiuto” – dice l’attore – “e sono un uomo realizzato””, nonostante tutto. Un on the road di ricordi che ripercorre le tappe fondamentali della sua carriera e della sua vita da Torino, sede del teatro Maffe ‘ e della Rivista che Bucci frequentò da furin fino ad Amsterdam tra un’intervista e l’altra e al breve impegno politico . Non è facile parlare di qualcuno che è in vita, di uno come lui, senza peli sulla lingua, uno che ha lasciato il posto a chi valeva meno, uno che si è perso e ha perso anche tanto, tra dipendenze, alcool e droga, facendosi tuttavia amare lo stesso, almeno un po’. Questi aspetti emergono in maniera naturale, nelle conversazioni, nei ricordi, nei momenti di pausa che fanno comunque parte delle riprese e del viaggio perché tutto è un aneddoto dentro il set, un po’ come lo è stata la sua vita. Bucci non fa il divo, non si prende sul serio fino in fondo, risponde alle domande con ironia, questa volta non vuole il ruolo da protagonista forse . Eppure il risultato è godibile ed efficace e non faticherà a richiamare applausi. Dopo tutto di Flavio Bucci ce ne è uno solo.

da: Ecodelcinema.com
data: 21 Ottobre 2018

di Ivana Faranda

Flavioh – Tributo a Flavio Bucci – Recensione: Alla Festa del Cinema di Roma un ritratto senza filtri di un grande attore

Flavio Bucci ha attraversato il grande cinema italiano ed è stato un grande interprete del teatro di prosa insieme a mostri sacri come Carmelo Bene. É apparentemente sparito dalla scena per ricomparire ora in “Flavioh – Tributo a Flavio Bucci”, documentario di Riccardo Zinna, recentemente scomparso, che firma anche la sceneggiatura e la fotografia. A lui va il merito di aver raccontato un uomo e un artista come Bucci in un road movie carico di poesia e leggerezza nonostante lo stato di salute piuttosto critico.
Flavioh – Tributo a Flavio Bucci: un viaggio nell’anima attraverso la testimonianza in prima persona del protagonista
C’è tutta la vita nel bene e nel male di Flavio nel documentario di Zinna. L’istrione che ha incarnato la follia di Ligabue ci mette la faccia e, diremmo noi, anche il cuore. Il suo viso stropicciato, segnato da mille eccessi, parla da solo. In un viaggio in camper l’interprete si mette a nudo e riesce a trasmettere il fascino da mattatore che lo ha contraddistinto. Non nasconde nessuno dei suoi demoni, dalla cocaina all’alcool. Di lui parlano le sue donne, la prima moglie Micaela Pignatelli e la sua ultima compagna olandese Loes Kamsteeg.
Ne viene fuori il ritratto di un marito non facile, nonché padre quasi assente per i suoi tre figli.
Flavioh – Tributo a Flavio Bucci: un documentario per un grande artista
Con il suo fedele bastone, Flavio incontra la sua famiglia di origine e racconta del suo primo amore con il teatro in una cittadina di provincia. Seguono in rapida successione tutti gli uomini che hanno segnato la sua carriera. Spicca tra questi, quello con Elio Petri, il suo maestro per stessa definizione di Bucci. É stato lui a farlo entrare, insieme a Gian Maria Volontè, nel circuito del cinema militante degli anni ’70 con film come “La classe operaia va in paradiso”.
Ci si commuove davanti all’incontro tra Alessandro Haber e il protagonista, uniti da una lunga amicizia. Il vecchio leone dalla criniera bianca, claudicante, continua per tutto il documentario a riempire lo schermo con la sua ironia.
Passano diversi filmati di repertorio tratti dai suoi spettacoli teatrali e dai suoi film, tra cui la scena immortale dell’esecuzione di Don Bastiano, il prete anarchico de “Il Marchese del Grillo”, che non cedeva davanti alle minacce della morte incombente. Lo stesso atteggiamento dell’uomo Flavio che ora si dichiara pubblicamente in rovina dopo aver sperperato tutti i suoi guadagni in cocaina, vodka, ma non in donne perché, quelle non le doveva pagare. Il documentario di Riccardo Zinna è una sorta di “cupio dissolvi” di chi ha vissuto ogni giorno come se fosse l’ultimo. “Flavioh – Tributo a Flavio Bucci” è un blues in immagini che restituisce al suo pubblico un grande artista che ancora avrebbe molte cose da dire.

da: il Mattino
data: 16 Gennaio 2019

di la Redazione

Zinna e il suo tributo a Flavio Bucci ad AstraDoc

Dopo le anteprime di novembre e dicembre, parte ufficialmente la decima edizione della rassegna “AstraDoc – Viaggio nel Cinema del Reale” organizzata da Arci Movie, Parallelo 41 Produzioni, Coinor e Università “Federico II”.
Un traguardo importante per una rassegna partecipata da un pubblico attento e affezionato, che ormai rappresenta un unicum nel panorama nazionale, con un programma di sei mesi di attività ogni anno condito da film e incontri con autori italiani e internazionali.

L’edizione del decennale comincia venerdì 18 gennaio alle 20.30 con la prima napoletana di “Flavioh – Tributo a Flavio Bucci” di Riccardo Zinna il racconto dell’uomo e dell’artista, in un viaggio on the road tra luoghi e persone che hanno segnato la sua vita personale e artistica. La serata vuole essere anche un caro omaggio a Riccardo Zinna, attore, regista e compositore napoletano, scomparso prematuramente pochi mesi fa, prima che il suo film fosse presentato alla Festa del Cinema di Roma.

Flavioh – Tributo a Flavio Bucci (Italia 2018 – 80’) Racconta dell’uomo e dell’artista Flavio Bucci, uno dei massimi attori del teatro e del cinema contemporaneo, accompagnandolo in un viaggio on the road a bordo di un camper in giro per l’Italia e l’Europa attraverso luoghi e incontri che hanno segnato la sua vita personale e artistica.

Flavio Bucci è un artista davvero singolare che ha interpretato magistralmente un’infinità di tipi umani, rendendoli tutti unici e irripetibili, che ha sposato una principessa vera, che ha co-prodotto “Ecce Bombo” di Nanni Moretti, che ha prestato la sua voce a John Travolta, Gerard Depardieu, Sylvester Stallone.
Flavio Bucci non si può non raccontarlo. Un viaggio dunque, un lungo viaggio attraverso strade, stanze, suoni, mondi, corpi, amori.

“Quando ho capito che molti giovani ventenni, trentenni ma anche molti quarantenni non conoscevano Flavio Bucci ho pensato che dovevo realizzare un documentario, un tributo, dovevo in qualche modo riuscire a raccontare la parabola dell’uomo e dell’artista Flavio Bucci, un uomo che ha vissuto la sua storia da battitore libero, vincendo, perdendo, sbagliando ma mai barando con gli altri e soprattutto con sé stesso”. Riccardo Zinna.

Riccardo Zinna (Napoli, maggio 1958 | Napoli, settembre 2018): Attore, regista, pittore, musicista e compositore italiano dal suo esordio nel 1991 con il film “Il portaborse” di Daniele Luchetti, ha collaborato con tanti grandi registi italiani  tra cui Francesca Archibugi, Antonio Capuano, Fabrizio Cattani, Toni D’Angelo, Antonietta De Lillo, Matteo Garrone, Paolo Genovese, Valerio Jalongo, Daniele Luchetti, Carlo Mazzacurati, Luca Miniero, Nanni Moretti, Gabriele Muccino, Luciano Odorisio, Giuseppe Piccioni, Giuseppe Rocca, Gabriele Salvatores, Michele Soavi, Gianluca Tavarelli, Carlo Vanzina.

Al Cinema ha affiancato un’intensa attività in teatro lavorando con Paolo Bonacelli, Roberto de Simone, Marina Confalone, Aldo Giuffrè, Silvio Orlando, Lunetta Savino, Toni Servillo.

Infine, è stato anche compositore chitarrista e trombettista, collaborando con Alessandro Castiglione, Nicola Cassese, Mauro de Leonardo, Francesco D’Errico, Pino e Pietro Iodice, Paolo Licastro, Massimo Luise, Mario Mazzaro, Enzo Nini, Ivo Parlati, Gianluca Perasole, Daniele Sepe, Stefano Tatafiore, Salvatore Tranchini, Nando Trapani, Gianpaolo Vitelli.

da: altritaliani.net
data: 29 Ottobre 2018

di Flavio Brudetti

Genio e fragilità. Flavioh – Tributo a Flavio Bucci di Riccardo Zinna

Il giorno 21 ottobre al MAXXI di Roma è stata presentata alla Stampa e al pubblico, nell’ambito della “Festa del Cinema di Roma” la prima del film-documentario FLAVIOH di Riccardo Zinna, prodotto dallo stesso Zinna e dall’attore Marco Caldoro.
Purtroppo Zinna è morto solo un mese prima della presentazione del film.
Riccardo Zinna è presente nei film più importanti degli ultimi anni quali “Il portaborse”, “Caro Diario”, “Io non ho paura”, “Il resto di niente”, “Benvenuti al Sud”, è presente in fiction televisive di successo quali “I bastardi di Pizzofalcone” e “Don Matteo”, è regista, è musicista, è pittore. In definitiva è un artista geniale e completo.
Con questo racconto di Flavio Brunetti, che si allontana dallo schema solito della recensione e che è anche un ricordo del suo amico Zinna, corredato da foto dello stesso Brunetti parliamo di FLAVIOH, un’opera a dir poco originale e acuta. Essa ci racconta del grande attore Flavio Bucci, uno dei massimi attori del teatro e del cinema contemporaneo, che ha interpretato un’infinità di tipi umani – tra cui l’indimenticabile Ligabue -, tornato ultimamente alle cronache per la sua esistenza sconvolta da una recente scelta di vita ai margini, fatta di droga e di alcool, che lo ha condotto a finire in una casa di riposo e povero.
Breve racconto di Flavioh
“Ciao, Riccardo, mio dolce amico.
Resterà l’infinito che mi hai insegnato ad amare senza mai strafare. Ciao, dolce amico, che amavi la mia misera terra, il Molise. Che quando, a luglio, ti ho chiamato dalla piazzetta di Castellabate dove avevi girato “Benvenuti al sud” e i muri e le vetrine dei bar erano pieni di foto di scena, ma la tua mancava e io volevo sentirti perché sapevo che da tempo soffrivi e, invece, al telefono hai ancora sorriso ricolmo di vita… il tuo sorriso sempre malinconico come i fiori che sanno della caducità della loro bellezza.
Amico senza vanità. Solo, con le tue delicate riflessioni mai sopite. Anche quando parlavi con me del tempo che doveva venire e che per te, forse, sarebbe stato più breve, ma che, così è la vita, non faceva niente.  Con il tuo sguardo d’immensa malinconia che resterà sempre, hai sconfitto la morte.
Stupida morte che credeva di batterti. Invece è lei, la morte, che muore con te.”
Riccardo, scomparso solo da un mese. Ma, di nuovo, un messaggio con il suo nome sul mio telefono! Quel nome … un sobbalzo! Il messaggio:
– Caro Flavio, sabato 21 ottobre alla sala delle proiezioni del MAXXI a Roma, nell’ambito della Festa Del Cinema, sarà proiettato il film di Riccardo che parla di Flavio Bucci. Sarebbe bellissimo se tu venissi. Ciao Sandra.
Era stata Sandra, sua moglie, a scrivermi col telefono del mio amico, Sandra che qualche giorno prima, delicata, aveva ringraziato tutti così:
– Ho avuto il privilegio di avere Riccardo nella mia vita come amico, come mentore, come amante, in quella che definivamo una “stabile relazione occasionale”, ed infine come marito… fino all’ultimo respiro quando, per proteggermi dal dolore, lui abbracciava me.
Mi è capitata così la fortuna di assistere alla prima di “FLAVIOH”, suo ultimo film terminato a pochi giorni dall’ineluttabile destino. Riccardo Zinna qui regista, musicista, coproduttore e attore, un film con il quale l’autore racconta tutto lo spazio etereo e tutti i sogni che abitavano la sua anima attraverso la narrazione dell’esistenza, fantasticamente rimbaudiana, del grande Flavio Bucci.
FLAVIOH, il titolo scelto.
“H” aggiunta al nome dell’uomo di cui si racconta.
“H”, ultima pennellata e ultimo tocco magico aggiunti, dall’artista, all’opera appena compiuta.
“H”, lettera muta… sospiro, speranza, prima dell’ignoto futuro.
La dolcezza appartiene all’anima, non alla carne. E l’anima non appartiene alla morte, quella presuntuosa morte che muore insieme alla carne. Riccardo, non è vero che è morto. Quella sera al MAXXI è tornato ancora tra noi attraverso gli sguardi, i respiri, le battute, le mani nere per la troppa nicotina, le risate, la voce meravigliosa di Flavio Bucci.
Quella sera, nel suo docufilm, Riccardo ci ha raccontato come, mesi e mesi di lavoro, si sia dissetato alla fonte della vita del genio nel quale egli si è immedesimato, diventando con lui una sola anima… o in un camper in giro per l’Europa i giorni di Natale o in un cinema squallido a luci rosse che una volta era anche teatro o su una nave sulle rive del Po, ripuliti Ligabue, la notte di capodanno o dalla madre vecchia di quasi cent’anni o dalla moglie e dal figlio di un tempo oramai lontani.

Flavio Bucci: “La classe operaia va in paradiso”, “La proprietà non è più un furto”, “L’Agnese va a morire”, “Il marchese del Grillo” e poi altri e altri indimenticabili film. “Ligabue”, lo sceneggiato televisivo che, come se ce ne fosse stato bisogno, lo rese ancora più celebre al mondo. Solo per ricordare alcune gemme di questo figlio di emigrati molisani, nato a Torino che ancora sente il richiamo delle voci dell’antica sua terra del Sud martoriato.
Il Molise è la più piccola e povera regione italiana. Casacalenda è il paese originario di Flavio Bucci e lì, ogni anno, c’è la rassegna Molisecinema. Fu così che la sua presenza in quel paese, sia per la rassegna sia per ricevere la cittadinanza onoraria, fu l’occasione per un attore sensibile ed attento come Marco Caldoro di coinvolgerlo nella regia della sua opera “Diario di un pazzo”. Durante i lavori l’estroverso genio, reso ormai più umano, quasi un bambino, dalle vicende della sua vita travolta dall’alcol e dalla droga, l’“Elefante in casa” come lui li chiama, non la smetteva più di raccontare degli aneddoti coi grandi con cui aveva lavorato: Monicelli, Petri, Volonté, Tognazzi, Gassman, Proietti, Moretti, e ancora gli altri. Fu così che Marco Caldoro volle parlare a Riccardo Zinna di questa eccezionale circostanza, di questo tesoro capitato per caso tra le sue mani. Allora in Riccardo nacque l’idea di narrare la vita di un grande attore ancora vivo con un film che raccontasse di lui, innanzi a lui e con la voce di lui, a lui stesso e alle persone da lui amate un tempo o ancora adesso o con quelle che inventarono i personaggi, cuciti sulla sua faccia, sulla sua voce, sulle sue movenze, sui suoi occhi. E per far ciò decise che bisognava allestire un camper che portasse per l’Italia e l’Europa tutta la troupe e Flavio Bucci da quelle persone che avrebbero potuto raccontare, innanzi al genio e insieme al genio la vita personale e artistica del genio. Una incredibile idea.
Questa cosa di raccontare la vita di qualcuno, generalmente, si fa quando quel qualcuno è già morto. E infatti, al pubblico in sala del MAXXI che, dopo la proiezione del film lo ha visto rientrare appoggiato al suo bastone e sottobraccio a Marco Caldoro e non smetteva più di applaudirlo, Flavio Bucci si è rivolto esclamando:
– Basta! Basta! Non sono ancora morto!
E che egli non sia ancora morto ce ne siamo accorti tutti con le sue battute ed i suoi aneddoti fuggenti ed amari:
– Quando dovevo doppiare John Travolta nel film “La febbre del sabato sera” il produttore me lo presentò e, indicandomi, gli disse:
– “Questa è la tua voce italiana”
E io, rivolgendomi ad entrambi, sottolineai:
– “Digli che lui è la mia faccia americana!”
E poi aggiunsi:
– …. e va a ffa’ ‘nculo tu e Travolta!!

In sala al MAXXI, tanti attori ed addetti al cinema ed al teatro e tra essi anche Armando Pugliese, uno dei registi più prestigiosi della scena nazionale.
– Con Flavio sono incazzato nero perché un attore geniale come lui ha lasciato con la sua vita dissennata il campo a tante mezze pippe marce che nulla hanno da condividere con il teatro.
Poi un abbraccio lunghissimo e malinconico dei due talenti con le loro bianche e incolte barbe a sfiorarsi sui visi, forse bagnati da qualche invisibile lacrima.
Terminato l’abbraccio, ancora, Pugliese, indicandolo al pubblico:
– Pare che si stia parlando di un morto e invece, lui, lo vedete?, è ancora vivo e vegeto e non è nemmeno vecchio e parlare di lui, di quello che ha già fatto e che è già stato mi fa venire i nervi!
Il film è finito. Rimangono nell’anima la bellissima colonna sonora di Riccardo Zinna, la voglia di continuare il suo viaggio con il genio nel camper lungo le vie dei sogni e alcuni versi a memoria della sua poesia dedicata a FLAVIOH che chiude la storia  lasciando un nodo alla gola.
Che splendidi macelli
occhioni belli
….
ma cortigiano mai
giammai borioso
perché la vanagloria
è il nutrimento dei privi di talento.